Coronavirus, un’opportunità per cambiare

In modo quanto mai opportuno, la casa editrice PM manda in libreria il volume Pandemia nel capitalismo del XXI secolo, a cura di Alessandra Ciattini e Marco Antonio Pirrone.

Il profilo dei due autori – Ciattini, già docente di Antropologia culturale presso l’Università Sapienza di Roma, è specializzata nello studio della vita religiosa latino-americana e della riflessione sulla religione; Pirrone, ricercatore di sociologia generale presso il Dipartimento “culture e società” dell’Università degli studi di Palermo, si occupa prevalentemente di migrazioni internazionali, razzismo, capitalismo e globalizzazione, storia del pensiero sociologico e sociologia dello sviluppo – dà al volume un taglio multidisciplinare.

L’intento dichiarato della collana che ospita il lavoro, Strumenti per il servizio sociale, diretta da Michele Mannoia e Pirrone, è infatti quello di pubblicare riflessioni e ricerche che muovano da una visione critica della realtà sociale per favorire il dialogo tra varie discipline circa le trasformazioni della società globale e le conseguenze di tali mutamenti sulla vita e sulle relazioni di uomini e donne.

Pandemia nel capitalismo del XXI secolo è dunque uno strumento per comprendere, ma anche uno stimolo ad agire. Una ricerca in chiave marxista che, avvalendosi del contributo di vari specialisti (biologi, virologi, medici, sociologi, filosofi, economisti, giuristi), mette in relazione la sfera economica con quella ecologica e con gli altri aspetti della vita sociale, nella convinzione che vi sia una stretta relazione tra il modo di produzione capitalistico e la pandemia da coronavirus. Il Covid-19 sta infatti mietendo vittime in tutto il mondo, soprattutto tra gli strati sociali che, «per le loro stesse condizioni di vita, non sanno come difendersi ».

La pandemia da coronavirus – dice il volume – costituisce l’ennesimo avvertimento, per lo più inascoltato, sul punto di non ritorno raggiunto, sulle condizioni reali del pianeta e sull’impossibilità di garantire la riproduzione della specie senza un cambio di marcia sostanziale e globale. Alle analisi di carattere scientifico come quella del medico Ernesto Burgio, il cui intervento s’intitola “Rapporto su una pandemia (inutilmente) annunciata”, il volume (oltre 400 pagine) aggiunge anche contributi di taglio più “impressionistico” e spunti che si situano fra arte e storia, cronaca e critica sociale. Alcuni saggi compaiono in lingua portoghese o spagnola, come “Pandemia y politica. Los hilos de la rebelión”, di Christian Castillo. Riferendosi a un articolo pubblicato sulla Monthly Review che, già prima della pandemia, aveva segnalato il complesso di elementi deflagranti che avrebbero potuto portare al disastro, l’autore ricorda come il coronavirus non sia caduto dal cielo. La sua relazione con altre pandemie recenti e con i meccanismi attuali dell’accumulazione capitalista – dice – è chiara.

«Gli ecosistemi in cui questi virus “selvaggi” erano in parte controllati dalla complessità della foresta tropicale – scrive Monthly Review sono stati drasticamente ridotti dalla deforestazione guidata dai capitali e, dall’altro lato dallo sviluppo periurbano, dalle carenze del sistema di salute pubblica e dalla mancanza di bonifiche ambientali. Mentre molti agenti patogeni della giungla stanno morendo con la morte delle specie che li ospitavano, un sottoinsieme di infezioni che una volta si esaurivano abbastanza rapidamente nella foresta, se non altro per la presenza irregolare delle specie che di solito li ospitavano, ora si è diffuso attraverso popolazioni umane sensibili. Anche a fronte di vaccini efficaci, i focolai risultanti sono caratterizzati da maggiore estensione, durata e slancio. Quelle che una volta erano esondazioni locali ora sono epidemie che si fanno strada attraverso i viaggi e le reti commerciali globali».

Il coronavirus – prosegue a sua volta Castillo – è l’ultimo di una catena di episodi simili che si sono verificati, senza che gli stati, nei 99 sistemi sanitari già fortemente minati dai tagli al bilancio acuitesi dopo la crisi del 2008, avessero recepito l’allarme. Al contrario, i grandi laboratori che pilotano l’industria farmaceutica nel mondo hanno diretto la produzione verso altre aree più redditizie da quelle delle malattie infettive, e anche la ricerca statale in questo campo non è stata più adeguatamente finanziata.

Come ha segnalato l’analista Mike Davis, le grandi corporazioni che compongono la Big Pharma negli Stati uniti hanno da tempo trascurato la ricerca e lo sviluppo di nuovi antibiotici e antivirali: 15 delle 18 compagnie farmaceutiche più grandi hanno totalmente abbandonato il campo per dedicarsi ad altre ricerche più remunerative, come quelle sui tranquillanti o i trattamenti per l’impotenza maschile. Davis ha denunciato come un vaccino universale contro l’influenza, ovvero un vaccino diretto alla parte immutabile delle proteine della superficie del virus, sia stato per decenni una possibilità, ma non sia stato mai abbastanza redditizio da diventare una priorità. E Castillo, polemizzando con le tesi di Giorgio Agamben, sottolinea il legame necessario tra il funzionamento del capitalismo e l’insorgere della pandemia, gli effetti della crisi economica senza precedenti che ne scaturirà in termini di decrescita della produzione e aumento della disoccupazione di massa, aumento del debito capestro per i paesi in via di sviluppo, e proteste popolari.

Rilevante anche l’approccio analitico di Francesco Schettino nel saggio “Crisi del capitalismo e pandemia: gli effetti su disuguaglianze e povertà”. L’incipit sembra tratto dall’articolo di uno studioso marxista, invece – spiega Schettino – si tratta del messaggio dell’Acting Manager del Fondo monetario internazionale, David Lipton, pubblicato in apertura del periodico Imf Annual Report, 2019.

Com’è accaduto durante la crisi cosiddetta finanziaria del 2008, anche ora gli analisti del capitale fanno ricorso a Marx, ovviamente per volgerlo alla loro maniera. Insomma – scrive Schettino –, «parafrasando Lenin, ancora una volta, a fronte di una parte della sinistra radicale alla costante ricerca di “nuovismi” teorici da cui farsi incantare, sono proprio i “borghesi onesti e sinceri” (ammesso e non concesso che loro lo siano) a fornire l’analisi materiale più aderente alla fase che il capitale mondiale sta vivendo».

Geraldina Colotti
Fonte: Le monde diplomatique, novembre 2020

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