La resistenza dei produttori

Emiliano Bevilacqua e Marco A. Pirrone hanno curato la seconda edizione del libro di Zygmunt Bauman Memorie di classe. Preistoria e sopravvivenza di un concetto. Il testo, pubblicato in italiano
per la prima volta nel 1987, fu recensito da Marco Revelli sulla rivista «L’Indice». Per Revelli, conoscitore della riflessione dello studioso di origine polacca, lo scritto di Bauman costituiva una prova di grande coraggio in quanto intendeva «giungere a una teoria generale della società industriale, della sua genesi, del suo sviluppo e della sua crisi». Questo libro, scritto da colui che ha evidenziato i  caratteri liquidi della modernità», deve essere collocato nel processo di declino dei modelli marxisti, strutturalisti e funzionalisti della classe sociale realizzatosi dopo lo sviluppo dei movimenti sociali sorti con il 1968 e in concomitanza con la crisi delle grandi organizzazioni di massa, che non seppero dialogare con queste nuove entità.

In particolare, con una lettura considerata “ingenerosa” della riflessione marxiana, sulla scorta di E. P. Thompson, Bauman critica a fondo la concezione economicistica della classe e conseguentemente della lotta di classe, mettendo in discussione il determinismo economico non seccamente attribuibile all’autore del Capitale. Come osserva Pirrone nella sua introduzione, il sociologo polacco ricostruisce il complesso passaggio dall’ancien régime alla società industriale, interpretandolo come un trapasso dal «potere sovrano della società feudale a quello disciplinare della società industriale», cui vengono attribuiti i tratti individuati da Michel Foucault
nei suoi celebri scritti.

L’impostazione anti-deterministica di Bauman può essere accostata alla riflessione dei post-marxisti Ernesto Laclau e Chantal Mouffe, per i quali l’agente sociale non ricava automaticamente dalla sua collocazione sociale il suo interesse di classe, ma acquista una precisa identità di lotta solo quando viene egemonizzato politicamente. La nostra esperienza storica ci ha insegnato che l’esistenza di un interesse oggettivo non implica mai che coloro che avrebbero un vantaggio dalla sua affermazione ne siano pienamente consapevoli. Se così non fosse non si comprenderebbero tutti gli sforzi volti a costruire nelle varie fasi del capitalismo la cosiddetta coscienza di classe. In questo senso, in un’ottica marxista non necessariamente riduzionista, ci sarebbe un rapporto “necessario” tra certe posizioni politiche e certe posizioni sociali, tuttavia ciò non significa affermare che tale legame sia inevitabile, spontaneo, garantito o voluto da Dio.

Con questo suo scritto Bauman non intende solo mostrare i limiti del concetto classe per intendere il funzionamento del mododi produzione capitalistico, ma si propone anche di tracciare le basi della sua teoria della modernità con i suoi corollari dell’individualizzazione e del consumo. Temi non certo nuovi per la ricerca sociologica, ma che nella fase neoliberista assumono un significato pregnante per la centralità del consumismo e dell’atomizzazione della vita sociale. Nella descrizione del sociologo polacco il conflitto capitale/lavoro non sarebbe sorto per la “scoperta” che il capitalista, impadronendosi dei mezzi di produzione, avrebbe trasformato la forza lavoro, unico patrimonio dei lavoratori, in merce e che, grazie a questo vantaggio, si sarebbe appropriato del pluslavoro. A suo parere invece l’ostilità contro il capitalista deriverebbe dal fatto che il nuovo regime disciplinare di fabbrica imposto agli ex artigiani demoliva la loro tradizionale indipendenza e autonomia, di cui serbavano
ancora memoria. Riottosi verso la rigida organizzazione della loro vita quotidiana, essi speravano di tornare alle condizioni gratificanti del loro antico mestiere.

In conclusione, Bauman sostiene che la classe degli operai industriali nacque del corso della resistenza dei produttori contro il nuovo sistema di potere e che solo successivamente si affermò l’economicizzazione del conflitto di classe – giustamente considerata riduzionistica – da cui scaturì il riformismo.

Fonte: Alessandra Ciattini, Le monde diplomatique, aprile 2021

Articoli simili