La città inventata

Un’esperienza di partecipazione urbana con i bambini

Divenuta spazio sociale, adultocentrico e antidemocratico, la città contemporanea è risorsa e vincolo per l’azione sociale. La città, dunque, rappresenta un limite nello sviluppo biografico del bambino, violando i suoi diritti.

Il tema del rapporto tra bambino e ambiente urbano è presente in questo volume sollecitando il lettore a guardare l’infanzia come una categoria sociale alla pari di tutte le altre e a ripensare al discorso urbanistico sulle pratiche di progettazione della città.

Questo libro insiste, infatti, sull’importanza della metodologia della progettazione partecipata con l’obiettivo di ripensare ad una pianificazione democratica capace di rivendicare il diritto alla città soprattutto dei bambini.

In sintesi, il lavoro mette in luce la competenza creativa di questi ultimi quale capacità di proporre soluzioni sostenibili e innovative, attraverso prassi e metodologie partecipative.

3.1 Non è tutta partecipazione. La metodologia della progettazione partecipata e i suoi strumenti

La progettazione partecipata, in ambito sociale, è una prospettiva metodologica che prevede la collaborazione dei vari attori di una comunità (cittadini o gruppi sociali destinatari di un’iniziativa, amministratori e tecnici, solo in alcuni casi possono essere presenti anche gli operatori di comunità) che, attraverso spazi e momenti di elaborazione, sono coinvolti nell’ideazione o nella realizzazione comune di un progetto con ricadute positive sui partecipanti e il loro gruppo di appartenenza (Martini, 2004).

La progettazione partecipata, in urbanistica, affonda le sue radici, nel periodo che va tra la fine del Diciannovesimo e l’inizio del Ventesimo secolo, ad opera di Patrick Geddes. Nel suo libro Cities in Evolution, (1915), Geddes teorizza uno strumento di risanamento e pianificazione della città e del territorio in maniera ecologica, generando matrici dove compaiono luogo, gente e lavoro. L’autore sperimenta recuperi urbani partecipati, come ad esempio, la trasformazione di un vecchio palazzo residenziale per studenti che si autogestiscono. La visione geddesiana, fortemente politica, richiedeva e richiede tutt’ora una differente gestione politica, in particolare sulla natura stessa e sul senso della democrazia e sulla conseguente distribuzione del potere politico ed economico all’interno dello Stato (Caperna, 2002).

La partecipazione esprime una volontà generale che si prefigge di attuare principi di giustizia ed equità sociale: ossia il convincimento che i processi progettuali, scaturiti attraverso la mobilitazione delle energie individuali e collettive, porti alla creazione di ambienti e spazi (quartieri, vicinati, paesaggi) che sappiano meglio esprimere la “cultura” del luogo in tutti i suoi molteplici aspetti. Come ci spiega Ray Lorenzo (1998), non è tutta partecipazione, però, ciò che induce una comunità a riconoscersi ma, soprattutto, ad elaborare delle proposte che siano utili ad intraprendere delle azioni che siano riconducibili ad una città sostenibile. Di conseguenza, mentre il metodo mira a far emergere le tensioni, l’approccio utilizzato è quello pragmatico radicato nel contesto.

Il paradigma, a cui tale approccio prende ispirazione, è il pragmatismo americano, che sottolinea la connessione tra fini (l’aspetto pratico e morale) e mezzi (l’aspetto strumentale). Uno dei padri fondatori, a cui si ispira tale paradigma, è Dewey. Punto di partenza, su cui si fonda la sua dottrina, è l’esperienza, intesa come l’insieme di azioni e di tutti gli eventi di natura umana, essendo quest’ultima, sempre, esperienza umana, nel senso che l’appartenenza dell’uomo alla natura è cosa «che qualifica la natura e l’esperienza di essa» (Dewey, 1949, p.78). Tutto questo è connesso alla capacità di risolvere problemi o altro in quanto il principio del pragmatismo è utile a chi gestisce il processo di partecipazione e a chi si pone nei confronti del problema e dei soggetti che sono coinvolti (Lorenzo, 1998).

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Indice

Prefazione.
Cosa fa una città “child-friendly”? Un’opera per riprogettare spazi urbani a misura di bambino

Introduzione

1. Reinventare la città
1.1 Trasformazioni in atto: argomenti per parlare di città
1.2 Il complicato mosaico delle differenze
1.3 Un’altra urbanistica: verso movimenti che abbandonano le certezze deterministiche
1.4 Il diritto alla città: cambiare e (ri)costruire
1.5 Nello scenario europeo: programmi e piani a sostegno dello sviluppo urbano

2. I bambini: cittadini in crescita
2.1 L’invisibilità dell’infanzia: ripensare l’infanzia secondo il paradigma sociologico
2.2 Dare voce: due mondi che entrano in relazione
2.3 L’importanza dei diritti
2.4 E se a parlare fossero i bambini: agency e partecipazione
2.5 «Questo l’ho fatto io!»: esempi di progettazione partecipata
2.6 Spontaneismo e ingenuità possono essere la soluzione

3. Per fare una città
3.1 Non è tutta partecipazione. La metodologia della progettazione partecipata e i suoi strumenti
3.2 La scala di progettazione dell’infanzia
3.3 L’esperienza della città di Pompei. La ricerca
3.4 Un’idea democratica sullo spazio urbano
3.5 «Ognuno di noi ha un suo posto ed è lì che sarà felice»: i disegni

4. Paure e desideri in città
4.1 Dal bosco delle favole alla nuova città matrigna
4.2 Panopticon-genitori
4.3 La città che vorrei
4.4 Il famoso gioco della creatività e l’educazione urbana
4.5 Ripartire dal bambino per costruire una sostenibilità urbana

Fabbricanti di comunità. Conclusioni

Bibliografia

Sitografia

Collana:
ISBN: 978-88-31222-14-3
Pagine: 170
Formato: 15 x 21 cm
Antonella Berritto
Antonella Berritto
9788831222143 La città inventataLa città inventata
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