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Come mai nel nostro Paese, nonostante l’ampia diffusione della criminalità economica e politica, vi è una scarsa stigmatizzazione della criminalità dei colletti bianchi, se escludiamo la breve parentesi di Tangentopoli?
Per rispondere ad un tale quesito questo libro si chiede, utilizzando in maniera opposta al modo convenzionale la teoria dell’etichettamento, quali sono gli attori che contribuiscono alla decostruzione della criminalità dei colletti bianchi come problema e alla decriminalizzazione dei delinquenti di alto status e attraverso quali meccanismi ciò avviene.
L’ipotesi suggerita è che nella disattivazione del controllo sociale, un ruolo decisivo sia svolto dagli stessi colletti bianchi. Oltre ad interventi in sede giudiziaria ed in ambito legislativo, essi possono contenere la disapprovazione sociale e i rischi di stigmatizzazione attraverso l’adozione di strategie di negazione o neutralizzazione. Tra queste l’attenzione si concentra sulle scuse e le giustificazioni attraverso cui i criminali di alto status tendono ad occultare i propri reati e conservare prestigio e rispettabilità sociale.
1. Impunità
La probabilità che la sanzione penale sul crimine dei colletti bianchi abbia un’efficacia di deterrenza generale è in Italia piuttosto bassa ed è ancora conveniente per il criminale d’alto bordo intraprendere un’azione illegale: la pena difficilmente viene irrogata e quando lo è non è mai troppo severa.
I criminali dal colletto bianco, siano essi politici o imprenditori, hanno la quasi certezza di non essere puniti, in quanto la maggioranza dei loro reati non viene giudicata da un sistema giudiziario ordinario, ma passa attraverso agenzie ed enti di controllo di natura amministrativa che, ed il caso italiano è esemplare, hanno alti tassi d’inefficienza. Anche quando come in Italia la funzione principale di controllo sul reato economico e politico spetta alla magistratura ordinaria, i livelli di impunità rimangono piuttosto elevati. Ad esempio per un classico reato del colletto bianco come la truffa, dalla metà degli anni Settanta ad oggi la percentuale dei condannati sui denunciati è stata sempre inferiore al 20%, con un decremento continuo che ha raggiunto il livello minimo nel 1988, quando sono stati condannati meno del 5% degli autori di truffe. Da quell’anno, forse per la maggiore sensibilità che con Tangentopoli ed altri scandali si è sviluppata intorno al crimine economico, la percentuale è salita e si è stabilizzata intorno alla modesta cifra del 15% (Marselli e Vannini 1999, 157).
Per il reato di corruzione invece la percentuale dei condannati sui denunciati è arrivata al 20% solo nel biennio 1996-97, nonostante il numero delle denunce sia triplicato negli ultimi dieci anni, mentre negli anni precedenti la percentuale media di condanne era del 10% (ISTAT 1998).
Anche il più imponente sforzo di repressione di reati del colletto bianco come la corruzione e la concussione, attuato negli anni Novanta con l’inchiesta milanese di Mani Pulite, ha ottenuto risultati modesti in termini di certezza della sanzione. Fino al febbraio del 2000 su oltre 4 mila persone indagate, per 3146 è stato chiesto il rinvio a giudizio, mentre solo 1234 indagati sono stati effettivamente rinviati a giudizio. A questo enorme lavoro di indagine sono corrisposte solo 576 condanne nei vari gradi di giudizio e 220 assoluzioni e proscioglimenti, di cui la metà per prescrizione. I condannati davanti al giudice preliminare sono stati invece 581 ed i prosciolti o assolti 444, di cui 150 per prescrizione (la Repubblica 17/02/2000).
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A vent’anni da Come si diventa non devianti. Continuità e discontinuità
Rosalba Altopiedi e Valeria Ferraris
1. L’attualità della proposta di Odillo Vidoni
2. Teorie della neutralizzazione e studio dei resoconti: un’integrazione possibile
3. Il ruolo dei criminali dei colletti bianchi
4. L’evoluzione della criminalità economica e politica e della sua criminalizzazione: il caso della corruzione
5. Uno spazio ancora aperto e inesplorato per la ricerca
6. Osservazioni conclusive
Introduzione
1. Colletti bianchi e processo di decriminalizzazione
1. Definizione di criminalità dei colletti bianchi
2. La criminalità dei colletti bianchi in Italia: uno sguardo d’insieme
3. Come si diventa non devianti: tre meccanismi d’intervento
2. L’impunità e l’influenza sulla legislazione
1. Impunità
2. Influenza sulla legislazione
3. La negazione
1. Il concetto di negazione
2. Il contenuto della negazione
2.1 Negazione letterale
2.2 Negazione interpretativa
2.3 Negazione giustificativa
2.3.1 Le giustificazioni
2.3.2 Le scuse
3. Alcune considerazioni su negazione e responsabilità
4. Le strategie di negazione: due prospettive teoriche
1. La teoria della neutralizzazione
2. Gli studi sui resoconti
3. Tecniche di neutralizzazione e resoconti: un tentativo di integrazione nello studio delle strategie di negazione
5. Strategie di negazione: devianza senza etichettamento
1. Teoria dell’azione deviante e negazione giustificativa
2. Negazione giustificativa e devianza
3. Negazione giustificativa e decriminalizzazione
3.1. Il contesto della decriminalizzazione: rituali di riparazione e rituali di degradazione
3.1.1 Onorare i resoconti nel rituale di riparazione
3.1.2 I rituali di degradazione
4. L’effetto dell’accettazione della negazione sulla carriera deviante e sul processo di criminalizzazione
6. Colletti bianchi e strategie di negazione: un’ipotesi esplicativa
1. L’ipotesi della subcultura della delinquenza di Matza
2. La revisione teorica di Minor
3. La neutralizzazione fra trasgressione privata e pubblica virtù
4. Neutralizzazione e costo morale
5. Le opportunità di contrapporsi alla reazione sociale
7. Un’agenda per la ricerca empirica
1. La ricerca su negazione e crimine dei colletti bianchi
1.1 Gli studi sulle tecniche di neutralizzazione
1.2 Gli studi sui resoconti
2. Negazione e crimine dei colletti bianchi: un’agenda per la ricerca
2.1 Descrizione delle strategie di negazione
2.2 Negazione, devianza e decriminalizzazione
2.3 L’adozione delle strategie di negazione: verifica dell’ipotesi esplicativa
2.4 Negazione e processo di decriminalizzazione
3. Osservazioni conclusive